
Era l’alba del 3 ottobre 2013, quando un barcone di legno partito dalla Libia con oltre 520 persone a bordo si rovesciava a pochi metri dalle coste dell’Isola dei Conigli a Lampedusa.
Qualcuno per scaldarsi o forse per attirare l’attenzione dei soccorritori, aveva accesa un fuoco a bordo. Fiamme, che nel mezzo del mare, si sono prorogate ad una velocità inaspettata.
I migranti - forse spaventati, forse increduli - si spostarono tutti su un lato del barcone, facendolo cappottare.
Se ne salveranno solo 155. Degli altri 368 non restano che i corpi inghiottiti dalle onde.
Inizia così la più grande tragedia del Mediterraneo dall’inizio della crisi migratoria.
Una tragedia ancor più amara perchè nata a seguito di un’idea di speranza, quella dell’emancipazione del popolo eritreo, ottenuta dopo l’indipendenza del paese nei primi anni ’90, oggi sottoposto a una delle dittature più assurde del mondo, con la popolazione costretta ad una leva militare che può durare anche tutta la vita e che coincide con la necessità delle famiglie di scappare.
Un avvenimento che è diventato un momento formativo per i ragazzi dell’ENGIM durante il Campo Nazionale.
A Maggio, i nostri ragazzi hanno potuto trascorrere alcuni giorni nell’isola siciliana per ripercorrere i passi di questa storia cruenta
“lì dove il mare sconfinato apre la porta all'Europa e dove tante, troppe vite, sono rimaste violentemente depauperate del loro sogno di una vita più giusta, più bella, in cui realizzarsi.”
Oggi, a distanza di mesi, ricordano l’esperienza come un momento di crescita e consapevolezza.
Giada nel momento in cui ha visto il luogo della tragedia ha sentito un fortissimo dolore, un grande senso di colpa e di vuoto, una sorta di incapacità di reagire di fronte ad uno spaesamento. E’ riuscita a portarsi a casa un atteggiamento più altruista, di apertura al mondo che sta tentando di trasmettere nella comunità classe e con gli amici.
Milouda non si capacita di come possa succedere una tragedia così grande. Ha trasmesso questi valori alla sua famiglia condividendone anche le emozioni e dal quel maggio scorso, ha instaurato con i genitori una intimità più forte.
Federico ha avuto modo di riflettere sul pregiudizio, mettendosi in discussione in prima persona. Parlando con chi ha vissuto tali esperienze ha cambiato il suo atteggiamento nei confronti del mondo.
“Prima di giudicare una persona solo per l'apparenza e senza conoscere la sua vita, ritengo che sia opportuna riflettere perché spesso si parla solo per muovere la bocca. Ogni persona deve essere serena e libera di girare per il mondo senza paura di essere derisa, presa in giro o umiliata.” ci racconta.
“Mentre guardavo quel punto nel mare, poco distante dalla costa, le emozioni provate erano molto forti e lo sono tutt'ora mentre ci ripenso. Ho provato molto dolore e molto dispiacere per quelle persone che non si meritavano quella fine, stavano cercando semplicemente la libertà, una nuova vita.”
Giada, Milouda, Federico sono solo tre esempi di come la conoscenza possa essere il motore della riflessione e del cambiamento.
Di come poter essere umani.
Loro, come i loro compagni di viaggio, oggi danno un valore diverso a parole come “libertà” e “dignità”: un significato più profondo che influenza il loro agire quotidiano e che trasferiscono ai coetanei.
Be Human non è solo uno slogan, ma un monito da cui partire per riappropriarsi della pienezza della vita.
Testimonianze che fanno riflettere e che ci stimolano a proseguire nella nostra attività formativa ed educativa, per una società futura più consapevole, più libera e … più umana.